
Il rientro al lavoro dopo la maternità è un momento cruciale: molte mamme non riescono a trovare la soluzione adatta a conciliare famiglia e carriera con la conclusione che abbandonano il lavoro. Puntare all’autonomia finanziaria per una donna è importante ma non semplice. Dopo la nascita del mio primo figlio sono tornata al lavoro e sono riuscita a ottenere il part-time. Non esiste una sola modalità di contratto part-time e conoscerle potrebbe essere utile per fare una proposta al vostro datore di lavoro.
LEGGI ANCHE Mamme e lavoro: creare relazioni di sostegno
3 Modalità di contratto part-time
La modalità forse più diffusa di lavoro part-time è la riduzione di orario giornaliera su tutta la settimana. Questa soluzione è utile quando i figli vanno a scuola e la madre o il padre posso andare al lavoro mentre i bambini non sono in casa. Esistono però tre modelli di part-time:
- part-time orizzontale: il lavoratore svolge la sua attività tutti i giorni a orario ridotto
- part-time verticale: il lavoratore svolge la sua attività a tempo pieno ma solo in alcune giornate (o periodi dell’anno)
- part-time misto: il lavoratore alterna il part-time verticale e orizzontale.
Valeria Campana di Robedamamma ha una bambina molto piccola che non frequenta ancora la scuola. Lei sta lavorando in modalità part-time verticale e nel testo che segue ci spiega vantaggi e svantaggi.
Part-time verticale per stare più a lungo con i figli
I primi mesi della mia seconda maternità sono passati in un soffio e il momento di rientrare al lavoro mi ha colta letteralmente impreparata. Se infatti, per alcune donne, l’idea di riprendere la vita lavorativa è stimolante, altre, come me, non si sentono pronte a lasciare il proprio bambino alle cure altrui, che si tratti di nido, nonni o baby sitter. C’è chi vede il lavoro come una valvola di sfogo, il giusto appiglio per uscire dalla routine con il neonato (che a volte, ammettiamolo, può essere parecchio alienante) o semplicemente ama molto il proprio lavoro e non vede l’ora di riprendere. Niente di male, anzi, sentirsi realizzate giova al rapporto con il proprio bambino. Per me, però, non è andata così.
Giunta alla scadenza del periodo di astensione facoltativa per maternità, ha iniziato a prendermi il panico. Non ero pronta a lasciare la mia bambina. A essere ancor più sincera, non avevo alcuna voglia di farlo. Ho iniziato a vagliare le opzioni. Dal punto di vista economico, ahimè, rientrare o meno in ufficio non avrebbe cambiato molto. Stando ancora qualche tempo a casa avrei perso alcuni mesi di stipendio. Rientrando avrei girato quasi interamente il mio stipendio al nido, visto che avremmo dovuto affidarci a una struttura privata.
Ho optato per chiedere un anno di aspettativa non retribuita. Mi pareva la soluzione migliore per tutti, e in ogni caso era quella che rendeva più serena me. Il datore di lavoro, però, mi ha risposto di no. Che fare, allora, quando non è possibile rimandare il rientro al lavoro dopo la maternità ma la situazione ci rende ansiose? Dopo aver accarezzato l’idea di restare ancora un po’ a casa con la mia bambina, ammetto che questo rifiuto è stata una bella delusione. Non mi sono persa d’animo e ho stilato immediatamente un piano B. Prima di tutto ho chiesto di aspettare il compimento dell’anno della mia bambina, un breve prolungamento dell’astensione da lavoro non retribuita che difficilmente viene negata.
Ho poi fatto una controproposta: rientrare temporaneamente con un part time verticale. In pratica, avendo io già un contratto di lavoro part time, e potendo scegliere se lavorare poco tutti i giorni (mandando la piccola al nido un numero di ore quotidiano comunque consistente, visto che lavoro piuttosto lontano da casa) o concentrare invece il distacco in un paio di giorni, ho scelto la seconda. La mia proposta, questa volta, è stata accettata.
Part-time verticale: lati positivi
Fuori da ogni ragionamento sulla positività o meno di mandare i piccoli al nido con i loro coetanei, e non trovando particolare vantaggio economico nell’uno o nell’altro caso, devo dire molto onestamente che questa soluzione si è rivelata una grande risorsa per tutta la famiglia. Lo è per la piccolina, che per due giorni a settimana frequentata il nido: un luogo fatto su misura per lei, dove ha a disposizione giochi di ogni tipo, spazi ampi e coetanei da… ignorare (per ora non è molto socievole, pare!). Lo è per me, che per due giorni a settimana ho ripreso a ragionare su qualcosa di più stimolante per il mio cervello di “quanti pannolini sono rimasti?” o “qual era quella crema per il culetto miracolosa?” Lo è per la famiglia, soprattutto per quanto riguarda la gestione della casa e delle attività extra scolastiche della figlia maggiore. Lo è, per ultimo ma poi prima di tutto, per il rapporto tra me e la piccolina. Mi sento di esserci, di essere presente per lei. E questo mi fa stare bene.
Part-time verticale: lati negativi
Lati negativi, ovviamente, ce ne sono. Il mio stipendio viene girato quasi interamente al nido e la sensazione di andare a lavorare per niente certi giorni mi schiaccia. Devo ripetermi costantemente perché lo faccio, e cioè per conservare il posto (la piccoletta presto crescerà e io avrò necessità di questo stipendio). Andando al lavoro solo due giorni va da sé che non esistono ferie o permessi. Quando le bambine sono malate, e capita, occorre arrangiarsi. Nei giorni in cui lavoro spesso deve restare a casa mio marito. La gestione delle attività lavorative, concentrata in sole due giornate, è abbastanza delirante e spesso mi ritrovo a non prendermi una pausa nemmeno per un sorso di caffè.
Questa soluzione è però quella che mi rende più serena e mi sento di consigliarla a chi non se la sente di affidare il proprio piccolo alle cure altrui allo scadere della maternità, ma vuole (o ha necessità) di mantenere l’attuale posto di lavoro.
LEGGI ANCHE 50 Idee per inventarsi un lavoro da casa
Lascia un commento