
C’è ancora qualche datore di lavoro convinto che una mamma con contratto part-time renda di meno? Se guardo la strategia dell’azienda in cui lavoro, devo dedurre invece che concedere il part-time a una madre sia la scelta più furba e intelligente che un datore di lavoro possa fare.
Quando ti chiedono se farai figli
Ho lavorato nella stessa azienda per 20 anni. Sono entrata giovanissima, fidanzata da pochi mesi con quello che sarebbe diventato mio marito e padre dei miei figli molto tempo dopo. Quando c’è stato un cambio ai vertici, ho cercato un altro posto di lavoro. Credevo che il nuovo capo preferisse un team senza impegni familiari, mentre io iniziavo a fare i miei progetti di famiglia.
Avevo fatto dei colloqui in una azienda molto più grande di quella in cui lavoravo in quel periodo. L’idea di avere molte colleghe mi confortava. Vedevo in quella realtà la possibilità di assentarsi per maternità senza problemi a farsi sostituire da qualcun’altro. Ero molto giovane e molto ottimista.
A una fase avanzata della selezione, mi fecero la fatidica domanda: “Ha intenzione di fare dei figli?” Ero pronta e sapevo cosa rispondere, ma in quel momento in cui io mettevo sul tavolo la mia esperienza, l’autonomia e la capacità di organizzare il lavoro, quella mi sembava la domanda peggiore che potessero farmi e risposi per le rime.
“Forse dovreste chiedermi se mi so organizzare, se ho qualcuno a cui appoggiarmi per un aiuto nel caso avessi figli o come intendo gestire un incarico da casa. Non sono in grado di dire se avrò dei figli, perché non li ho ancora cercati, ma di sicuro li voglio e ho già pensato a come mi organizzerei.”
E’ stata sicuramente una risposta arrogante, ma di fronte alla domanda che taglia le gambe a tante donne io non vedevo alternativa. Due giorni dopo mi telefonarono dicendo che avevo avuto il posto, ma io alla fine l’ho rifiutato. Il tempo mi ha dato ragione. Quella grossa azienda multinazionale pochi mesi dopo ha chiuso l’ufficio dove avevo fatto i colloqui e si è trasferita in una zona molto scomoda di Milano, tagliando molti posti di lavoro.
Come ho avuto il contratto part-time
Nel frattempo nel vecchio ufficio si stava facendo il passaggio di consegne ai vertici. Conoscevo già la persona che sarebbe diventato il mio nuovo capo, ma non lavoravamo insieme. Ricordo cosa mi ha detto la prima volta che ci siamo metti al tavolo: “Devo avere attorno persone che sono in grado di gestire da sole i loro incarichi, dentro e fuori l’ufficio. Ti prendi la responsabilità del tuo ruolo?” Ovvio che sì! Ho iniziato a lavorare in modo ancora più autonomo. Due anni dopo ho avuto il primo bambino.
Quando dovevo tornare al lavoro dopo la prima gravidanza, il mio capo mi ha telefonato e mi ha detto: “Io non ho figli, ma non posso pensare che una madre stia qui in ufficio 8 ore senza pensare a suo figlio. Organizzati per stare meno tempo in ufficio, ma con la testa libera quando ci sei.”
Come fare funzionare la meglio un lavoro part-time
Non basta ottenere il contratto part-time, bisogna anche farlo funzionare bene. Bisogna cambiare modo di lavorare e svolgere i propri compiti in meno ore. In questi 12 anni da mamma con contratto part-time ho imparato che:
- il mio lavoro è una responsabilità che non finisce uscendo dall’ufficio, esattamente come essere madre;
- l’organizzazione del lavoro è indispensabile per svolgere l’incarico sfruttando al massimo i tempi: esattamente come riuscire a pulire casa in ogni 5 minuti liberi;
- avere ben chiari gli obiettivi e le priorità rende elastici: riesci a rispettare le scadenze nonostante le interruzioni e come mamma ho due specialisti nelle interruzioni con cui mi alleno tutti i giorni.
La cosa più importante che ho imparato è che se sono felice, rendo di più e meglio.
La frase preferita del mio capo era: “Se mi porti un problema, portami anche la soluzione. Io devo approvare, non fare il tuo lavoro.” Quando sono diventata mamma, dovendo cavarmela sempre da sola, ho imparato sul campo che quella logica era l’unica con cui potevo conciliare i miei compiti.
Soluzioni per lavorare con un part-time
Le soluzioni per tenere il part-time c’erano. Dovevo provarle e trovare quelle adatte a me e al mio ruolo. Nel mio caso questo è ciò che ha funzionato:
- appena ho saputo di essere incinta mi sono occupata da sola delle selezioni di chi mi avrebbe sostituita;
- ho passato gli ultimi mesi di gravidanza a stendere la strategia migliore per coordinarmi con la mia sostituta: la responsabilità di quel ruolo sarebbe stata sempre mia;
- ho sperimentato tutte le soluzioni di lavoro a distanza: condivisione file, accesso da remoto per la casella di posta, scansione dei documenti che dovevo leggere;
- ho imposto un iter di procedure alla mia sostituta: una vera e propria tabella di lavoro che mi permetteva di controllare cosa faceva intervenendo in alcuni passaggi dell’iter.
Quando sono tornata al lavoro ormai l’organizzazione del lavoro era già ottimizzata, dovevo solo coprire le ore in cui ero fuori ufficio e la soluzione è stata finire i miei compiti in minor tempo e rendermi reperibile fino a sera per ogni tipo di necessità.
Lavoravo di più? No, lavoravo meglio! Molte delle capacità che servivano per fare in meno ore quello che prima facevo in 8, venivano sicuramente dal mio essere madre. Avevo imparato a rispettare le scadenze, riuscendo a mettere tutti in pista al mattino nonostante capricci, sonno e qualcosa che mancava sempre nelle cartelle. Avevo imparato a non perdere le staffe quando tutti urlano e lo stress è alto, affrontando tutte le situazioni impossibili che possono capitare a una mamma: restare calma mentre tuo figlio sanguina, andare al lavoro ed essere lucida nonostante la notte insonne perché il piccolo ha la tosse, raggiungere casa a piedi perché l’auto si è fermata con due bambini piccoli e la spesa. Magari la metto un po’ sul ridere, ma cosa vuol dire fare la mamma lo sapete.
Non dimentichiamo il valore aggiunto del part-time!
Oggi sono in uno studio più grande con nuove colleghe. Poche di loro sono mamme. Una ha chiesto di ridurre l’orario di lavoro di mezz’ora: è una ragazza madre con un bambino piccolo e se uscisse mezz’ora prima potrebbe prenderlo all’uscita del nido (alle 18.00!!). Non le è stato concesso di ridurre l’orario per 30 minuti, nemmeno rinunciando alla pausa pranzo perché “non sarebbe corretto verso le colleghe che non sono madri”. E’ una dipendente molto seria e sono sicura che non peggiorerà il suo modo di lavorare solo per questo rifiuto, ma vorrei che il suo datore di lavoro potesse vedere dentro la sua testa quali pensieri passano dopo le 17.
Vorrei una nuova versione del Canto di Natale di Dickens in cui questa volta il vecchio Sgrooge va a vedere come vivono le mamme che lavorano per lui.
Concedere il part-time a una mamma è la scelta più furba per una azienda: lavora di più, lavora meglio, è contenta, non ciondola per i corridoi aspettando che venga sera. Certo bisogna fare capire ai datori di lavoro la differenza tra assegnare un ruolo e trovare qualcuno che ricopra un posto, ma io sono ottimista. Ci arriveremo!
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